Un’anima sostava
sulla riva di spinose pendole
a Longchamp
in uno sparto covile d’acquaragia,
d’oro fino l’intaglio delle nubi
la paglietta d’uva spina,
trasverso il giorno
d’apparenti opali, le vocali.
Non riguarda il nuvolo
lo strabo verbis di Monna Lisa,
a filet il crochet rammaglia
antichi fazzoletti
ora che la luce urta nei Cahiers
il diametro dei piedi sulla fune,
del Louvre s’affinano i contorni
il rodio nebbiore dell’elmo détraqué,
la crepa di ceramica
che turba il nigello paravento.
Misura un quarto di bottoni
se con l’algebra e l’imbuto
fa un comparto di mattoni,
la curvatura del numero tre
dimezza l’otto nella forma,
subduce 8½ allo spiegone
di voci avvolte nel ginepraio;
ebriato, come al circo,
Janvier balla il tip-tap,
sulla suola di lapazio
di un clown sul trapezio
bine ripiegano le stuoie.
Si stacca l’arancia dall’Aeglos,
insino il frullo d’ali dell’aiglon
malioso lameggia dalla latebra.
Thea Matera ©️