In alcuni appunti dello Zibaldone datati 1820-1821, Leopardi associa la disperazione a una ‘gioia barbara’ dal sapore dionisiaco. Al contrario di quanto scrive il luterano Kierkegaard nel giro degli stessi anni, la disperazione del Recanatese si carica di una paradossale potenza liberatoria, è una potenza costituente dell’essere. Non il tracollo dell’io su se stesso, ma l’apertura dell’esistenza individuale alla vertigine dell’essere, dell’universale.
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