Nell'interpretazione elaborata dal filosofo francese Emanuel Levinas, l'Odissea di Omero è un'allegoria del pensiero metafisico di origini elleniche. Ulisse è il prototipo occidentale dell'eroe nostalgico, simbolo del desiderio della patria identificata con la meta, a configurare in un circolo ossessivamente chiuso su sé stesso che va dal Medesimo al Medesimo. Questa interpretazione, paradossalmente, è subalterna al modello che vorrebbe contestare: è all'interno della tradizione neoplatonica che si consolida l'interpretazione "metafisica" di Ulisse, da Plotino a Schelling. Sono i sistematici dell'Occidente a vedere narcisisticamente nella figura di Ulisse la propria immagine riflessa. Ecco allora che l'Ulisse del XXVI canto dell'Inferno di Dante, si sottrae a questa lettura convenzionale diventando un eroe del pensiero nomade che si apre all'infinito senza alcuna nostalgia della Patria. Facile ribattere che Dante non conosceva l'Odissea e aveva a disposizione soltanto stralci di racconti differenti dall'originale, ma non è questo il punto e non è questione di filologia. L'Ulisse dantesco si muove a spirale fuori dei confini del mondo conosciuto, e non è mosso da alcun desiderio metafisico. L'Ulisse dantesco ignora quella "passione triste" chiamata "nostalgia".
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