La questione della lingua in Dante assume un'immediata valenza etico-politica, sulla scia di una tradizione di lunga durata che risale alla celeberrima definizione aristotelica dell'essere umano come specie munita di 'logos'. Logos ("locutio") significa abilità linguistica, capacità di costruire relazioni etiche, e dunque vita attiva. Ma significa anche capacità di costruire un sistema politico ispirato ai valori "imperiali" di pace e giustizia, il binomio augusteo che ritorna nelle Costituzioni di Melfi di Federico II. I capitoli del primo libro del "De vulgari eloquentia" dedicati alla cosiddetta scuola siciliana sono esemplari, a tal proposito.
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