23 agosto 2020
Un cavaliere,
medievale,
dal nobile,
lignaggio,
bello,
dentro,
la sua armatura,
di metallo lucido,
splendente,
come il mattino.
Si in chinò
per proporsi,
a lei,
al
sacro
vincolo,
ma fu rifiutato,
con le parole,
di nessuna
fiaba.
Scena finale,
capelli rasati:
Giovanna d'arco
al rogo,
finita,
per sempre,
spenta,
nella brace.
Aspettavo,
il mio turno,
davanti
all'esercizzio
dei tabacchi,
lei era dentro,
a servire
ritornata,
dalle ceneri,
dopo il risveglio.
Tempo presente,
ora e data,
ignoti,
un altra lei,
da cui sono,
uscito,
dal grembo,
coi pugni stretti,
quando il sole,
d'agosto,
cantava,
le sue rime,
ai pantaloni
a zampa di elefante.
Un altra lei
passeggiava
nervosamente,
per la Genova,
ricostruita,
dal tempo,
passato,
sulle pietre,
i piedi,
si posavano,
passavano,
e si posavano,
le pietre,
bagnate,
dalla pioggia,
dei dimenticati.
D'improvviso,
la temperatura
si alzava,
la febbre,
cresceva,
la febbre,
cresceva,
cresceva,
la rabbia.
Mutava la pelle,
la carne,
le ossa,
in China disegnata,
il corpo prendeva
la forma
di un cartone
animato,
dal sol
levante
animato.
Occhi da anime,
sgusciavano,
su ogni superficie,
nella ricerca
disperata,
di trovare
nello stile,
delle ligne
disegnate,
il riconoscimento
della propria
essenza.
Giovanna d'arco,
e occhi da anime,
riportati qui,
su questa carta,
da lettera,
mai spedita,
con la mia
modesta calligrafia,
pezzi enigmatici,
affioranti,
dall'incertezza
della notte,
quando
siamo,
più fragili,
stretti
tra le braccia
distorte
di morfeo.