Nel suo recente lavoro "Intelletto d'amore" Agamben ritorna sul tema della lirica amorosa medievale, mostrandone magistralmente le implicazioni filosofiche. Nell'interpretazione dell'Autore, l'eros si pone come un'esperienza che consente all'intelletto di conoscere sé stesso in quanto potenza, nel duplice senso del termine: come potenzialità conoscitiva sempre aperta al nuovo e come energia capace di descrivere il reale. Da qui una inedita lettura di "Donna me prega" di Cavalcanti, alla luce del suo averroismo. Differenziandosi da Bruno Nardi, Agamben scrive che l'amore in Cavalcanti non è tanto una passione della parte sensibile, e animalesca, dell'anima, quanto un'esperienza che coinvolge la sfera dell'intelletto. Ecco allora che il fantasma d'amore, l'immagine della donna intorno a cui si arrovella l'amante, diventa la cifra di una nuova condizione esistenziale che immette in una forma di conoscenza del mondo. Traggo un corollario: in questa prospettiva affiora un tema straordinario, quello della dimensione epistemologica dell'esperienza erotica, dove la metafora biblica della "conoscenza" assume una connotazione carnale che trasgredisce i termini della morale cristiana medievale. La carne diventa viatico all'esperienza spirituale del mondo.
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