La coscienza di una vocazione demiurgica nei confronti di una lingua ancora in fieri, come il volgare del sì, è presente in Dante fin dalla "Vita Nuova". Questo atteggiamento si affianca all'umiltà di colui che si sente "scriba" ispirato che "nota" ciò che Amor "gli detta dentro". La poesia per Dante ha il compito di plasmare la lingua, nobilitarla, renderla stabile e redimerla dalla realtà grezza e magmatica che contraddistingue le parlate correnti. Questa idea è al centro della riflessione semiologica elaborata nel "De vulgari eloquentia". Ecco allora che la poesia è investita di una missione religiosa: riplasmare il volgare nobilitandolo in maniera tale da recuperare, per quanto possibile, almeno un barlume della lingua primigenia forgiata da Adamo nell'Eden, prima della cacciata e prima ancora della dispersione subentrata nel genere umano per il folle progetto della torre di babele.
Diario