“Il miglior fabbro del parlare materno” (Purgatorio XXVI, v. 117) è, per Dante, il trovatore Arnaut Daniel. Il verso è noto, come è noto che il "parlar materno" è la lingua madre, la lingua viva, ossia il volgare contrapposto al latino intellettualistico dei clerici. Ma in che senso il poeta è fabbro? Termine potente, "fabbro", che a un lettore medievale evoca l'idea del Demiurgo del "Timeo" platonico, una prefigurazione del Dio creatore della tradizione monoteista. Nella concezione alta che Dante ha della poesia, il poeta è colui che getta le fondamenta della lingua plasmandola come un artigiano che dà forma a un materiale ancora grezzo. Poietes, allora, è colui che porta alla luce il potenziale espressivo della lingua risvegliandone la forza occulta ancora latente. Soltanto nel dire poetico, la lingua esplode in tutta la sua energia.
Diario