Rivestìti nell'apparenza
ciascuno con le sue penne di pavone
pranziamo seduti alla stessa mensa
a consumare uguali razioni di acqua e pane
futili vantaggi a nasconder la miseria
piuttosto che immolare la propria anima
ma quando si parla di fumare
ognuno a tirare più che può dai sigari comuni
Ed é allora che certi rovelli montano
all'apice del turbinio di pensieri vorticosi
momenti in cui verrebbe tanto da dire
ma in virtù di quel pane
nel frattempo divenuto duro
e di quell'acqua divenuta putrida
la lingua si mozza
nel pregare il Cielo di non pronunciar parola
E di questo anch'io ne prendo colpa
nel mio cuore viziato
dove sprofondano orme d'emozioni
passi incerti a lasciare
affievolite tracce di passione
sfiancati stremati fermi fissi
nei cieli dissolti dei sogni
E vivo in giorni di futile apprensione
a soffrire l'eterna acredine con me stesso
nell'ennesimo affanno dal respiro lento
nelle armonie perdute nella mente
baraonde di volontà ingannate dalla vita
a imporre che la coscienza resti rinchiusa
nel peggior relitto ancora alla deriva
a patire l'urgenza del miglior approdo
.
Cesare Moceo poeta di Cefalù
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