Come fenice,
che dalle proprie ceneri risorge,
riprendo il volo,
annientata dal rogo d'inclemenza,
la nuda spoglia protesa al cielo.
Vile la vita, braccata dalla morte
le s'è arresa senz'alcuna lotta.
E al momento depongo pietre di speranza,
già sottratta dalla sorte
che m'ha voluta vittima innocente.
Riesumo tal castello,
crollato sotto venti di burrasca
prim'ancora d'esser ultimato.
Avevo inteso d'esserne regina,
nel regno ch'ambivo a costruire,
regnar sul trono dell'amore,
sul piedistallo, più vicina a Dio,
per quant'era prescritto in questo tempo,
mai dell'odio e del rancore.
Credevo d'esser prediletto fiore
non foglia inaridita dal dolore;
mutevole il colore…
s'affanna per non essere strappata,
con veemenza, sbattuta sul selciato a far tappeto.
Pensavo… pensavo, ma erravo atrocemente…
Col cuore in mano,
strappato crudelmente dal mio petto,
ancor pulsante e intatto,
sono a pregare il Padre,
ch'é eretto tra le nubi il mio castello,
or abbisogna d'un re e la sua regina.
Sospira l'alma, desiando ancor la vita,
un'altra chance, per conclamare essa,
deridere la morte e riscattar se stessa.
Poesia