Poesia

COME GIULIETTA, SO D'ASCOLTAR, D'USIGNOLO, IL DOLCE CANTO © IRISV

Verseggia ancora l'usignolo,
accovacciato sul ramo del salice che piange,
melodico il suo suono,
ne intona il pianto, nel gorgheggiar intenso,
dopo la notte insonne, nel deliziar l'udito.
Rimbalza l'eco,
nella campagna circostante,
ch'attendeva l'alba, per giungere al risveglio.
L'oscurità notturna
m'è comparsa più opprimente del consueto.
Priva di vita, s'è palesato solamente il nulla,
nell'inghiottire il tutto.
La luna è migrata alla mia vista,
s'è rifugiata altrove, anziché portar conforto.
Funereo quel cielo nudo, a deluder il morale.
Solo triste tristezza è apparsa all'orizzonte,
nella sua veste lunga e nera,
in cui le lacrime si forgiano a tessuto.
Inaspettata, s'è insinuata nella mente,
radicando la sua tela,
tal ragno, che sa circuir bene la sua preda ignara.
Come Giulietta, so d'ascoltar, d'usignolo, il dolce canto,
non dell'allodola, sul ramo.
Sentor di Paradiso, sebben per un momento,
m'assale, alle tonalità poliedriche del piccolo pennuto,
da far tesoro ritrovato e racchiuder nella mente,
onde fuggir dalla tristezza, or sofferenza, alfine,
nell'esistenza altalenante…
A tal uopo, quel canto, sigillerò nel cuore.

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