Diario

Agamben, Sollers, Bene… leggono Dante

A partire da un comune retroterra lacaniano, anche se con diverse intonazioni di pensiero, Philippe Sollers, Giorgio Agamben, e Carmelo Bene, sviluppano un’indagine relativa ai paradossi della narrazione amorosa quali emergono nel percorso che dalla "Vita Nova" culmina nel "Paradiso".

Sollers legge nella Commedia una traversata “barbarica” ispirata al tentativo di restaurare una lingua della verità atta a restituire il referente in tutta la purezza della sua trasparenza primordiale.
Dante, novello Adamo, compirebbe in tal modo una seconda "nominatio rerum" finalizzata a ripristinare il legame tra linguaggio e realtà che si è dissipato nella babele localistica dei volgari.

Di segno opposto la lettura di Agamben: la narrazione erotica, dalla "Vita Nova" alla "Commedia", è una celebrazione dell’attività fantasmatica della parola poetica in cui il reale finisce per dissolversi nell’immaginario, e il campo dei referenti viene assorbito in quella che lo studioso chiama, con riferimento alla filosofia e alla medicina medievali, la dimensione “pneumo-fantasmologica” del linguaggio.

In un suo celebre intervento, Carmelo Bene individua invece nel nome di “Beatrice” la cifra dell’innominabile, l’emergere di una afasia della nominazione che mette sotto scacco il potere simbolico della parola in una sorta di regressione del linguaggio alla “infanzia” che precede la costituzione del significato e del significante.

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