L'interpretazione dell'Ulisse dantesco proposta da Ruedi Imbach, grande studioso contemporaneo di filosofia medievale, fa chiarezza su tutta una serie di luoghi comuni che continuano a circolare intorno all'eroe omerico. Ulisse è una personificazione della ragione umana, analogamente a Virgilio. Ma mentre il poeta dell'Eneide riconosce i limiti della ragione, il suo vassallaggio nei confronti di Beatrice, Ulisse rappresenta quel tipo di razionalità inquieta e nomade che pone domande su ciò che oltrepassa i limiti della mente umana. Ulisse è una anticipazione del "furioso" di Giordano Bruno. Il naufragio narrato nel XXVI canto dell'Inferno raffigura il mancato rispetto dei limiti che la ragione impone a sé stessa. Non si tratta di una punizione divina, è un naufragio che si spiega con ragioni interne all'inanità dell'impresa. Ulisse è punito in quanto fraudolento, e non perché abbia violato il confine stabilito dalle colonne d'Ercole, eroe pagano e semidio "falso e bugiardo". In quel canto difficile ed enigmatico dell'Inferno sembra che Dante stesso voglia ingannare il lettore portandolo fuori strada. Ecco allora che Ulisse diventa una metafora della scrittura dantesca, del suo tessere fili invisibili e trame insidiose, della necessità di seguire il percorso del pellegrino nei tre regni dell'oltretomba senza mai perdere il filo di Arianna di un'esegesi che vada "oltre il velame de li versi strani".
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